Fiabe e anziani

L’incantesimo della sorgente

In un villaggio viveva un uomo con le sue tre figlie. Un giorno egli si ammalò gravemente ma a niente servirono le pozioni di erbe preparate dagli stregoni del luogo.
– Oh! se potessi bere l’acqua della magica sorgente – si lamentava l’uomo – guarirei certamente, ma la sorgente è così lontana che non riuscirò a raggiungerla!

La figlia maggiore, addolorata per la sorte del padre, prese una grossa brocca e partì per recarsi alla sorgente fatata.
Camminò a lungo, giorni e notti. Una volta arrivata, si avvicinò alla fonte, ma quando si piegò per attingere l’acqua sentì una voce che le disse: – Avrai quest’acqua solo se prometti di diventare mia sposa! – La fanciulla si spaventò enormemente e fuggì via con la brocca vuota.
A casa la seconda sorella la rimproverò della sua viltà e partì. Giunta alla sorgente, mentre stava per prendere l’acqua nella brocca, la stessa voce le disse: – Avrai quest’acqua solo se prometti di diventare mia sposa. Se non farai ciò che ti dico, tuo padre morirà! – La ragazza terrorizzata scappò a casa, anche lei con la brocca vuota.

Allora la sorella più giovane decise di mettersi subito in viaggio. Quando ebbe raggiunto il luogo incantato, udì la stessa voce che le disse: – Attingerai da quest’acqua solo se prometti di diventare mia sposa! – La fanciulla accettò la proposta senza esitare. Così, riuscì a riempire la brocca con l’acqua magica e la portò a casa.
Il padre bevve l’acqua con avidità e sentì subito le forze tornare nel suo corpo. Egli abbracciò la figlia minore e le manifestò la sua riconoscenza.

Passarono alcuni giorni, ed ecco che una sera uno strano essere coperto da una pelle di lupo bussò alla porta della loro casa. La sorella più piccola andò ad aprire. Al solo vederlo tutti fuggirono, eccetto lei. Il misterioso visitatore ricordò alla ragazza la sua promessa. Fece cadere a terra la pelle di lupo, mostrando alla fanciulla il suo vero aspetto: era un uomo giovane e bello. Egli si rivolse a lei con grande dolcezza e le disse:
– Verrò ogni sera da te, ma a mezzanotte dovrò andare via. Per un terribile incantesimo, compiuto dalla maga della sorgente, non posso mostrare il mio volto a nessuno, fuorché a te che hai accettato di diventare mia sposa senza conoscermi.
Se qualcun altro scoprisse il mio aspetto sarei costretto a sparire –
Egli le fece promettere di non rivelare ad altri il loro segreto. Da quella volta, ogni sera il giovane tornò a farle visita, ma quando s’udiva l’ultimo rintocco della mezzanotte, si copriva con la pelle di lupo e spariva nell’oscurità.

La fanciulla cominciò ad amarlo, ma non seppe tener fede alla promessa fatta. Si confidò con suo padre e questi, nella speranza di porre fine all’incantesimo della sorgente, rubò la pelle di lupo e la bruciò nel bosco.
A mezzanotte quando il giovane s’accorse di non poter indossare il suo travestimento, disse alla ragazza: – Non possiamo più vederci. Purtroppo devo partire per un paese lontano, al di là del mare. Ma se un giorno vorrai venire da me, dovrai calzare scarpe di ferro per camminare e colmare con le tue lacrime un paiolo di rame. –
Detto questo il giovane andò via, mentre la fanciulla cominciò a piangere per il dolore. Subito il padre le portò un paiolo di rame per raccogliere le lacrime che, cadendo dai suoi occhi, riempirono il recipiente fino all’orlo.

Lei lo aspettò ogni sera, sperando in cuor suo che il giovane tornasse.
Un giorno, stanca dell’attesa, decise d’intraprendere il viaggio per ritrovare il suo amato. Il padre le preparò delle scarpe di ferro, così lei partì.

Il percorso per raggiungere il mare fu lungo e doloroso: le scarpe di ferro le procuravano ad ogni passo un’atroce sofferenza. Una sera in cui si sentì troppo stanca per proseguire, la fanciulla volle riposarsi. Si avvicinò a una capanna, davanti alla quale sedeva un vecchio che le domandò: – Chi sei? Come sei riuscita ad arrivare fin qui? –
Lei raccontò la sua triste storia e il vecchio l’ascoltò con compassione e tenerezza.

Interrogheremo la Luna per avere notizie del tuo amato – disse l’uomo al termine del racconto e chiamò l’astro notturno.
– Non ho visto il giovane di cui mi chiedi. – rispose la Luna – Va da mio fratello il Sole, che con i suoi raggi arriva in luoghi lontani: può darsi che ti possa aiutare –
La ragazza seguì le indicazioni che la Luna le aveva fornito e giunse alla dimora del Sole, portando con sé una conchiglia che l’astro notturno le aveva regalato. Purtroppo neanche il Sole aveva mai visto il giovane. Le suggerì, però, di andare dal Vento e, dopo averle regalato un’altra conchiglia, le indicò la strada da percorrere.
Il Vento soffiava rabbioso quando la fanciulla arrivò, ma vedendola così triste e smarrita, si quietò e ascoltò la sua richiesta. – Aiutami a ritrovare il mio amato – gli disse.
– Egli vive al di là del mare, prigioniero di un’altra donna – rispose il Vento e la guidò oltre il mare e poi la lasciò, donandole una terza conchiglia.

Finalmente giunse al castello in cui lui abitava, prigioniero della maga della sorgente, che ne era innamorata. La fanciulla finse di essere una principessa e chiese ospitalità alla sovrana. La maga la fece alloggiare in un sontuoso appartamento, ma volle subito metterla alla prova. La stessa sera la invitò ad una grande festa: lei avrebbe dovuto indossare un abito adatto ad una principessa. La giovane, disperata, si mise a suonare la conchiglia per consolarsi e subito vennero evocati gli spiriti lunari, che cucirono per lei uno splendido abito d’argento che le andava alla perfezione.
Alla festa, la maga invidiosa desiderò ardentemente quell’abito, i cui riflessi argentei illuminavano la pelle della giovane, rendendola bellissima.
– Ve lo regalo – propose la ragazza – se mi concedete di trascorrere un giorno con il giovane che tenete presso di voi –
La donna accettò, ma prima fece bere al suo prigioniero un elisir d’oblio. La fanciulla parlò al giovane della sorgente e del loro incontro. Ma egli non ricordava nulla.

La sera successiva la ragazza suonò nella seconda conchiglia, e questa volta vennero chiamati gli spiriti solari che cucirono un abito meraviglioso del colore del sole. Di nuovo l’avida maga lo desiderò per sé e perciò si accordò di nuovo con lei. Ma il giovane aveva ancora bevuto l’elisir dell’oblio e non si ricordava della fanciulla.
La sera successiva ella suonò nella terza conchiglia e questa volta furono gli spiriti del vento a donarle un abito stupendo, leggero e cangiante come il vento. Come le prime due sere, lo scambiò con un’altra giornata da trascorrere con lui.
Questa volta però, avendo notato il gesto della maga, riuscì a sostituire la magica essenza con dell’acqua. E quando rimase sola con il giovane, questi si ricordò della sorgente, della pelle di lupo e della fanciulla così dolce che egli aveva tanto amato.
– Mio caro – esclamò lei – finalmente ti ho ritrovato! Così come tu desideravi, ho riempito un paiolo con le mie lacrime e ho calzato scarpe di ferro per raggiungerti. –
Lui la prese tra le sue braccia e disse: – Tu sarai la mia sposa! –
La maga, furiosa, sparì per sempre portando con sé i tre abiti. I due giovani si sposarono e vissero felici nel castello che si trova ancora al di là del mare.

Mio nonno era un ciliegio

Quando avevo quattro anni, avevo quattro nonni: due nonni di città e due nonni di campagna.
Quelli di città si chiamavano Luigi e Antonietta e assomigliavano spiccicati a tutta la gente di città.


Quelli di campagna si chiamavano Ottaviano e Teodolinda e non assomigliavano a nessuno, nemmeno ai loro vicini di casa (…).
Tutti diversi i nonni di campagna. Per prima cosa avevano oche e polli al posto di un cane; poi non uscivano quattro volte al giorno a portarli a passeggio; infine non abitavano sopra di noi, ma a quaranta chilometri di distanza e io li vedevo sì e no un paio di volte al mese.

quando la mamma nacque, il nonno andò in paese e tornò con un paio di orecchini d’oro per la nonna e una pianta di ciliegio. Andò nell’orto, scavò una buca, la riempì di letame caldo e piantò l’albero; poi prese un temperino, lo arroventò e incise a fuoco un nome: FELICITÀ. La mamma, infatti, si chiama così e questo, secondo il nonno, doveva essere anche il nome del ciliegio. Ma la nonna gli fece notare che era un nome poco adatto a un ciliegio; allora il nonno decise che lo avrebbe chiamato Felice, e così è stato.

… più ancora che per i polli, la nonna aveva una passione per le oche. Non so perché; lei diceva che erano più intelligenti dei cristiani, ma io penso che fosse perché le assomigliavano un poco. Ce n’era una, Alfonsina, che era la sua preferita. Era così grande e grossa che io mi ci sedevo sopra e mi facevo portare a spasso per il cortile. Anche a me piaceva Alfonsina. Appena arrivavo mi correva incontro e mi seguiva dappertutto. E potevo dirle qualsiasi cosa che lei mi capiva.

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